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Il volto del profeta
Il volto del Signore
Il volto di Ciro e il secondo esodo
Il volto del servo di Y
Al titolo, che risale con ogni probabilità al compilatore del libro, fa seguito un passo ritenuto autentico in cui si trovano riassunti alcuni temi fondamentali del messaggio di Isaia: l'infedeltà del popolo (vv. 2-9), l'ipocrisia religiosa (vv. 10-17), tema trattato in molti altri testi profetici come Am 5,21-26; Mi 6,6-8; Ger 7,21-23 e Sal 50,8-15, l'invito al pentimento (vv. 18-20) e un commovente lamento su Gerusalemme (vv. 21-26), seguito da una profezia consolatoria sul futuro (vv. 27-31).
Al v. 26 «città della giustizia» e «metropoli fedele» sono i nomi profetici di Gerusalemme, che fanno riferimento al destino della città (vedi anche Is 60,14); nella Bibbia il nome, quando viene assegnato da Dio o da un profeta, rivela la natura e il futuro di chi lo porta; è questo il caso dei nomi di Abramo (Gn 17,5), di Isacco (Gn 21,6), di Giacobbe (Gn 32,29), di Betel (Gn 28,17) e della stessa Gerusalemme (Ger 33,16 ed Ez 48,35); lo stesso fenomeno è alla base di Os 1,4-9 e 2,1-3 e di Is 7,14; 8,1-4 e 9,5.
I vv. 1-4 si ritrovano identici in Mi 4,1-4, ed è impossibile stabilire la priorità di un testo rispetto all'altro; la conclusione liturgica di entrambi i passi (qui al v. 5, e in Mi 4,5) potrebbe far pensare alla citazione di un canto religioso preesistente; anche la tendenza universalistica del brano non presenta punti di contatto con le ideologie dei due profeti, mentre si accorderebbe assai meglio con una collocazione post-esilica. Una tale interpretazione lascia del tutto inalterato il contenuto messianico del passo: è importante abituarsi a un'analisi indipendente delle singole unità, senza lasciarsi influenzare da considerazioni relative all'epoca e all'attribuzione. Il messianismo del passo che stiamo considerando trova del resto riscontro nei cc. 9 e 11.
I vv. 6-21 sono tra i più notevoli del libro; è verosimile che si tratti di una composizione giovanile, per l'evidente influsso del profeta Amos; Isaia rimprovera al popolo la sua immoralità, irreligiosità, idolatria e avidità materiale (6-8) e descrive i castighi divini e il giorno di Y, concetto ripreso da Am 5,18.
Il capitolo, ad eccezione forse dei vv. 10-11, presenta tutti i tratti più caratteristici dello stile di Isaia. Il profeta annuncia la prossima rovinosa perdita dell'autorità di Gerusalemme (vv. 1-9) e pronuncia un severo giudizio contro i capi del popolo (vv. 10-15) e contro le figlie di Gerusalemme (vv. 16-26); la condanna delle donne è ripresa in 4,1.
Il canto sulla vigna (vv. 1-7) è da ritenersi senz'altro autentico ed è probabilmente anch'esso da attribuirsi a un'epoca giovanile. Il tema della vigna scelta e poi respinta da Y è assai comune, tanto nell'Antico Testamento (Os 10,1; Ger 2,21; Ez ,1-8; 17,3-10; 19,10-14; Sal 80,9-19 e Is 27,2-5) quanto nel Nuovo (Mt 21,33-44; Gv 15,1-2).
Ugualmente autentica è da considerarsi la pericope dei vv. 8-24, che attacca varie categorie: ricchi rapaci (vv. 8-10), gaudenti (vv. 11-17), calunniatori, amorali, falsi sapienti, bevitori e giudici iniqui (vv. 18-24).
Nei vv. 25-30 l'invasione assira è presentata come immanente.
Il capitolo, certamente autentico, ha per argomento la visione con cui Isaia ricevette la vocazione profetica (vv. 5-8) e la natura del compito che egli fu chiamato a svolgere (vv. 9-10). Viene poi predetta la distruzione del popolo di Giuda; la portata catastrofica della profezia è mitigata dalla menzione di un «resto» [שאר] (su cui si veda anche 10,15-23) che scamperà alla rovina e assicurerà la sopravvivenza della nazione. Il resoconto della vocazione sembra sostanzialmente attendibile, anche se naturalmente è stato sottoposto a una visibile elaborazione letteraria.
Entrambi i capitoli sono autentici e risalgono al periodo della guerra siro-efraimitica1), combattuta dalla coalizione formata dal regno di Israele [con capitale Samaria] e da quello di Damasco contro il regno di Giuda [con capitale Gerusalemme], il cui re Ahaz chiamò in aiuto il re assiro Tiglat-pileser [morto nel 727 a.C.]; questi nel 734 a.C. si impadronì di parte della Galilea e nel 732 assoggettò Damasco. Negli stessi anni aveva preteso da Giuda il versamento di un pesante tributo (2 Re 16,5-9).
Nel c. 7, il nome del figlio del profeta «Un resto tornerà» (v. 3) esprime allo stesso tempo la speranza della sopravvivenza e la minaccia della deportazione.
Il v. 9 rappresenta una delle espressioni più convinte e incisive della fede esclusiva e assoluta in Dio come unico possibile apportatore di salvezza, incompatibile non solo con il ricorso all'idolatria ma anche con la ricerca di qualsiasi sostegno umamno (Dt 7,6 e Is 28,16; 30,15).
I versetti seguenti (10-17), come in seguito 11,1-9, raccolgono una serie di oracoli riguardanti la figura dell'Emmanuele che in tutte le epoche sono stati oggetto di interpretazioni contrastanti. La nascita dell'Emmanuele (in ebraico ‘immanû-'El, «Dio con noi») da una giovane (‘almâ) (v. 14) è il segno che il profeta promette al re Ahaz; a questa predizione seguono la descrizione della giovinezza dell'Emmanuele (vv. 15-17) e poi il racconto dell'invasione assira che distruggerà il regno di Giuda (vv. 18-19): molti saranno deportati e il «resto» che rimarrà vivrà in miseria, adattandosi alle usanze dei pastori e dei nomadi (vv. 20-25). Nel messaggio riguardante l'Emmanuele è dunque possibile discernere un duplice significato: l'annuncio della liberazione di Gerusalemme e della continuità della dinastia davidica, ma anche l'inizio di un periodo di desolazione.
Quanto alla questione dell'identità dell'Emmanuele, alcuni studiosi hanno sostenuto che la sua figura deve essere interpretata in senso generale: qualunque giovane madre in quel periodo avrebbe potuto dare a suo figlio il nome di Emmanuele come testimonianza dell'evidente favore divino. L'interpretazione tradizionale, accolta anche da alcuni specialisti, vede invece nell'Emmanuele il Messia, e nella giovane la Vergine madre, personaggio non insolito nella storia delle religioni; spesso infatti la nascita soprannaturale di una figura carismatica è considerata segno dell'inizio di un'epoca felice. È possibile individuare echi di questa credenza nei celebri versi dell'Ecloga IV di Virgilio:
Già ritorna la Vergine, ritornano i regni di Saturno,
già una nuova progenie discende dall'alto dei cieli.
E tu al Fanciullo che nasce, sotto il quale cesserà il secolo di ferro
e per tutto il mondo sorgerà il secolo d'oro,
sii propizia, casta Lucina.
Gli studiosi cattolici sostengono l'interpretazione messianica diretta, difesa già da san Giustino (martire verso il 165), e identificano nell'Emmanuele Gesù Cristo e nella ‘almâ la Vergine su madre. Questa lettura trova conferma nel testo di Mt 1,22-23, che cita espressamente il v. 14 di Isaia e Mi 5,2 come prefigurazioni del concepimento e della nascita di Cristo. Secondo l'interpretazione più diffusa, accolta di recente anche da esperti cattolici, nell'Emmanuele è da riconoscersi il futuro re Ezechia, figlio di Ahaz, e nel segno la sua stessa nascita: richiamandosi alle parole di Natan (2 Sam 7,1-16) il profeta assicura, in un momento di crisi e di sconvolgimenti, la sopravvivenza della dinastia davidica. Nella prospettiva del cosiddetto «messianismo regale» la solennità dell'oracolo e lo stesso significato simbolico del nome Emmanuele spingono ad attribuire alla vicenda un significato che trascende la semplice continuità dinastica (pur molto importante per Isaia) e indica un intervento divino di importanza assai maggiore, la cui portata non è limitata alla circostanze storiche immediate. Riteniamo che questa interpretazione sia fondata, e possa spiegare nella maniera più chiara anche la ripresa della profezia di Isaia in Mt 1,22-23 e 4,13-16.
Anche il significato del termine ebraico ‘almâ, qui tradotto con «giovane», è stato molto dibattuto. Dalle altre attestazioni nella Bibbia si evince che esso designa una donna adulta, non sposata e quindi presumibilmente vergine; la traduzione greca, che impiega il termine parthénos, è sostanzialmente equivalente al testo ebraico: si tratta di una giovane donna che si suppone ancora vergine. Anche nell'interpretazione messianica dei testi sull'Emmanuele non c'è quindi nulla che indichi esplicitamente un concepimento verginale: le uniche affermazioni univoche in proposito si trovano in testi evangelici (Mt 1,23 e Lc 1,34-35).
Meher-shalal-hash-bas, il nome del secondo figlio del profeta, significa «Pronto alla preda, veloce al bottino» e simboleggia la rapidità dell'invasione e del saccheggio di cui saranno oggetto le città di Damasco e di Samaria, che verranno conquistate da Tiglat-pileser.
Il v. 14 è spesso citato nel Nuovo Testamento (Mt 21,42-44; Lc 2,34; 20,17-18; Rm 9,23-33).
Il v. 23 è citato da Matteo, assieme a 9,1, in un'occasione particolarmente significativa della vita pubblica di Gesù (Mt 4,13-16).
L'autenticità dei vv. 1-6 è stata messa in dubbio da alcuni studiosi, ma senza validi motivi. L'interpretazione tradizionale cristiana discerne in questo passo riferimenti messianici confermati anche dai nomi (v. 5); il testo può essere interpretato come un'ulteriore specificazione, per quanto frammetaria, della profezia dell'Emmanuele, che evidenzia l'amore del Messia per il suo popolo, si diffonde sulla sua regalitàn sulla pace che regnerà nella sua epoca e, secondo alcuni esegeti, ne proclama la divinità.
Sono senza dubbio da attribuirsi a Isaia i vv. 7-20, che trattano della vendetta divina provocata dalla superbia del popolo e messa in atto dagli Aramei e dai Filistei (vv. 7-11), rimproverano il popolo perché persiste senza pentirsi nell'errore (vv. 12-16) e descrivono il caos e la guerra civile (vv. 17-20). Questo passo con la sua continuazione in 10,1-4 può essere associato a 5,25-30.
Tutto il capitolo è da considerarsi autentico; i vv. 5-15 trattano del declino dell'Assiria, mentre i vv. 16-23 sviluppano il tema, più volte accennato, del «resto» [שאר] di Israele (anche se alcuni studiosi sono propensi a scorgere nei vv. 16-20 una continuazione del precedente argomento). Del «resto» [שאר] risparmiato dalla spada degli invasori aveva già parlato il profeta Amos (Am 3,12; 5,15; 9,8-10); l'argomento sarà poi ripreso in termini più o meno espliciti da altri profeti. È indubbio tuttavia che il tema del «resto» [שאר] ha il suo massimo sviluppo nell'opera di Isaia (4,2-3; 6,13; 7,3; 28,5-6; 37,31-34) che ne descrive le vicende in questo modo: esso rimarrà a Gerusalemme, sarà purificato, resterà fedele a Dio e diventarà una nazione forte. Tuttavia dopo la caduta di Gerusalemme altri profeti collocano il «resto» [שאר] tra i deportati, identificandolo con un gruppo che si convertirà durante l'eslio e che Dio radunerà dopo la restaurzione messianica (Ez 6,8-10; 12-16; Ger 31,7; 50,20); dopo il ritorno dall'esilio il «resto» [שאר], ancora infedele, doveva essere di nuovo decimato e purificato (Zc 1,3; 8,11; Ag 1,12). Si noti che le nazioni dei gentili non avranno alcun «resto» [שאר] (Is 13,20; Ez 21,37).
L'oracolo dei vv. 24-27a ha per argomento la fine dell'Assiria; nei vv. 27b-34 è invece dscritta la marcia di un esercito invasore contro Gerusalemme, rappresentazione poetica dell'invasione di Sennacherib [morto nel 681 a.C.]; lo stesso argomento è trattato in prosa nei cc. 36-37, probabilmente spuri. La marcia trionfale è comunque interrotta da Y, che abbatte rami e cime (esercito e capi) e devasta lo stesso Libano (l'Assiria).
La formula introduttiva (vv. 1 e 4) presenta queste composizioni come canti di lode; la loro autenticità è assai dubbia.
Ha inizio con il c. 13 una serie di oracoli contro le nazioni che si trovano in rapporti politici o militari con il regno di Giuda, serie che prosegue fino al c. 23.