Il lavoro culturale, 1957 (seconda edizione, con un ripensamento, 1964)
1. Il problema delle origini ha sempre sedotto e affaticato la mente di saggi, sapienti, e intellettuali: origini dell'uomo, delle specie, delle società; origini del male e della disuguaglianza.
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No, non c'era altra possibilità: bisognava lavorare da noi, in provincia, nella nostra città.
2. Quanto alla politica la nostra città era tollerante, democratica, aperta alle idee nuove, pronta alla discussione.
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Noi li vedevamo soltanto per caso, al caffè, e ce li indicavamo, con aria di mistero. Ma cosa faranno? Di cosa parleranno?
3. Nessuno avrebbe detto, così a prima vista, che Marcello ed io eravamo fratelli.
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“Bonora. Ezio Bonora. È il nuovo responsabile del lavoro culturale.”
4. Nella nostra città i pomeriggi erano lenti e lunghissimi.
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“Per ora nessuno. Poi manderanno un elemento dal meridione, credo.'
5. Dal meridione venne Simonetta, un salernitano grasso, con i baffi: aveva sposato una ragazza della nostra città, e gli avevano trovato quella sistemazione, come responsabile del alvoro culturale.
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Ci sono troppe mezzeseghe in giro, troppi preti, troppi intellettuali.”
6. Per comodità di chi voglia fruttuosamente dedicarsi al lavoro culturale, sarà opportuno raccogliere, a questo punto, tutta una serie di indicazioni circa il problema del linguaggio.
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“I dialetti di classe, che sarebbe più esatto chiamare gerghi, servono non le masse del popolo, ma un ristretto gruppo sociale superiore.”
7. Alla fine dell'anno Simonetta se ne andò.
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Con le russe no: hanno un'altra educazione, quelle.
8. Da allora sono passati cinque anni, e la nostra città è tornata tranquilla.
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“Milano… che gente… che città!”
Ritorno a Kansas City
Da quest'anno ci si va anche in aereo, nei mesi estivi.
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“Te lo ricordi, Aldo? Lo sai che è morto? E Tacconi, te lo ricordi? È morto anche lui.”
Milano, settembre 1964