Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sí crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Già era ’l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridïan cerchio coverchia
Ierusalèm col suo piú alto punto;
Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,
i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
Quando per dilettanze o ver per doglie,
Io era già da quell'ombre partito,
e seguitava l'orme del mio duca,
quando di retro a me, drizzando ’l dito,
una gridò:
Quando si parte il gioco de la zara,
Poscia che l'accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e ’ntenerisce il core
lo dí c'han detto ai dolci amici addio;
‘Te lucis ante’ sí devotamente
le uscío di bocca e con sí dolce note,
che fece me a me uscir di mente;
La concubina di Titone antico
Poi fummo dentro al soglio de la porta
«O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
Noi eravamo al sommo de la scala,
«Chi è costui che ’l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
Quando tra l'ultimar de l'ora terza
e ’l principio del dí par de la spera
che sempre a guisa di fanciullo scherza,
Buio d'inferno e di notte privata
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
Ricordati, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
Posto avea fine al suo ragionamento
l'alto dottore, e attento guardava
ne la mia vista s'io parea contento;
Ne l'ora che non può ’l calor diurno
intepidar piú ’l freddo de la luna,
Contra miglior voler voler mal pugna;
La sete natural che mai non sazia
se non con l'acqua onde la femminetta
samaritana domandò la grazia,
mi travagliava,
Già era l'angel dietro a noi rimaso,
l'angel che n'avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;
Mentre che li occhi per la fronda verde
ficcava ïo sí come far suole
chi dietro li uccellin una vita perde,
Né ’l dir l'andar, né l'andar lui piú lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sí come nave pinta da buon vento;
Ora era onde ’l salir non volea storpio;
Mentre che sí per l'orlo, uno innanzi altro,
ce n'andavamo, e spesso il buon maestro
diceami:
Sí come quando i primi raggi vibra
là dove il suo fattor lo sangue sparse,
cadendo Ibero sotto l'alta Libra,
e l'onde in Gange da nona rïarse,
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
Cantando come donna innamorata,
continüò col fin di sue parole:
‘Beati quorum tecta sunt peccata!’.
Quando il settentrïon del primo cielo,
che né occaso mai seppe né orto
né d'altra nebbia che di colpa velo,
«O tu che sè, di là dal fiume sacro»,
Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m'eran tutti spenti.
‘Deus, venerunt gentes’, alternando
or tre or quattro dolce salmodia,
BELLOMO-CARRAI 2019
Purgatorio / Dante Alighieri ; a cura di Saverio Bellomo e Stefano Carrai. - Torino : Einaudi, 2019. - XLVII, 601 p. ; 23 cm. - (Nuova raccolta di classici italiani annotati ; 24).
LEDDA 2014
Sulla soglia del Purgatorio: peccato, penitenza, resurrezione. Per una lectura di «Purgatorio» IX, in «Lettere italiane», LVI (2014), pp. 3-36.