{{:pianissimo.jpg?200 |}} [In copertina: Amedeo Modigliani, //Albero e case//, 1919] **Parte prima** 1. Taci, anima stanca di godere\\ e di soffrire (all'uno e all'altro vai\\ rassegnata).\\ Nessuna voce tua odo se ascolto:\\ non di rimpianto per la miserabile\\ giovinezza, non d'ira o di speranza,\\ e neppure di tedio.\\ Giaci come\\ il corpo, ammutolita, tutta piena\\ d'una rassegnazione disperata.\\ Noi non ci stupiremmo\\ non è vero, anima mia, se il cuore\\ si fermasse, sospeso se ci fosse\\ il fiato...\\ Invece camminiamo.\\ Camminiamo io e te come sonnambuli.\\ E gli alberi son alberi, le case\\ son case, le donne\\ che passano son donne, e tutto è quello\\ che è, soltanto quel che è.\\ La vicenda di gioja e di dolore\\ non ci tocca. Perduta ha la sua voce\\ la sirena del mondo, e il mondo è un grande\\ deserto.\\ Nel deserto\\ io guardo con asciutti occhi me stesso. 2. Talor, mentre cammino solo al sole\\ e guardo coi miei occhi chiari il mondo\\ ove tutto m'appar come fraterno,\\ l'aria la luce il fil d'erba l'insetto,\\ un improvviso gelo al cor mi coglie.\\ Un cieco mi par d'esser, seduto\\ sopra la sponda d'un immenso fiume.\\ Scorrono sotto l'acque vorticose.\\ Ma non le vede lui: il poco sole\\ ei si prende beato. E se gli giunge\\ talora mormorio d'acque, lo crede\\ ronzio d'orecchi illusi.\\ Perché a me par, vivendo questa mia\\ povera vita, un'altra rasentarne\\ come nel sonno, e che quel sonno sia\\ la mia vita presente.\\ Come uno smarrimento allor mi coglie,\\ uno sgomento pueril.\\ Mi seggo\\ tutto solo sul ciglio della strada,\\ guardo il misero mio angusto mondo\\ e carezzo con man che trema l'erba. 3. Mi desto dal leggero sonno solo\\ nel cuore della notte.\\ Tace intorno\\ la casa come vuota e laggiù brilla\\ silenzioso coi suoi lumi un porto.\\ Ma sì freddi e remoti son quei lumi\\ e sì grande è il silenzio della casa\\ che mi levo sui gomiti in ascolto.\\ Improvviso terrore mi sospende\\ il fiato e allarga nella notte gli occhi.\\ Separata dal resto della casa\\ separata dal resto della terra\\ è la ma vita e io son solo al mondo. Poi il ricordo delle vie consuete\\ e dei nomi e dei volti quotidiani\\ mi ritorna nel sonno,\\ e di me sorridendo mi riadagio. Ma, svanita col sonno la paura,\\ un gelo in fondo all'anima mi resta.\\ Ch'io cammino fra gli uomini guardando\\ attentamente coi miei occhi ognuno,\\ curioso di lor ma come estraneo.\\ Ed alcuno non ho nelle cui mani\\ metter le mani con fiducia piena\\ e col quale di me dimenticarmi.\\ Tal che se l'acque e gli alberi non fossero\\ e tutto il mondo muto delle cose\\ che accompagna il mio viver sulla terra,\\ io penso che morirei di solitudine. Or questo camminare fra gli estranei\\ questo vuoto d'interno m'impaura\\ e la certezza che sarà per sempre. Ma restan gli occhi crudelmente asciutti. 4. Esco dalla lussuria.\\ M'incammino\\ pei lastrici sonori della notte.\\ Non ho rimorso e turbamento. Sono\\ solo tranquillo immensamente. Pure\\ qualche cosa è cambiato in me, qualcosa\\ fuori di me.\\ Ché la città mi pare\\ sia fatta immensamente vasta e vuota,\\ una città di pietra che nessuno\\ abiti, dove la Necessità\\ sola conduca i carri e suoni l'ore.\\ A queste vie simmetriche e deserte\\ a queste case mute sono simile.\\ Partecipo alla loro indifferenza,\\ alla loro immobilità.\\ Mi pare\\ d'esser sordo ed opaco come loro,\\ d'esser fatto di pietra come loro.\\ Ché il mio padre e la mia sorella sono\\ lontani, come morti da tanti anni,\\ come sepolti già nella memoria.\\ Il nome dell'amico è un nome vano.\\ Tra me e loro s'è interposto il mio\\ peccato come immobile macigno.\\ E se sapessi che il mio padre è morto,\\ al qual pensando mi piangeva il cuore\\ di essere lontano ora che i giorni\\ della vita comune son contati,\\ se mi dicesser che il mio padre è morto,\\ seno bne che adesso non potrei\\ piabgere. Son come posto fuori della vita,\\ una macchina io stesso che obbedisce,\\ come il carro e la strada necessario. Ma non riesco a dolermene. Cammino\\ pei lastricati sonori nella notte. 5. Non, Vita, perché tu sei nella notte\\ la rapida fiammata, e non per questi\\ aspetti della terra e il cielo in cui\\ la mia tristezza oribile si placa:\\ ma, Vita, per le tue rose le quali\\ o non sono sbocciate ancora o già\\ disfannosi, pel tuo Desiderio\\ che lascia come al bimbo della favola\\ nella man ratta solo delle mosche,\\ per l'odio che portiamo ognuno al noi\\ del giorno prima, per l'indifferenza\\ di tutto ai nostri sogni più divini,\\ pel non potere vivere che l'attimo\\ al modo della pecora che bruca\\ pel mondo questo e quello cespo d'erba,\\ e ad esso s'interessa unicamente,\\ pel rimorso che sta in fondo ad ogni\\ vita, d'averla inutilmente spesa,\\ come la feccia in fondo del bicchiere,\\ per la felicità grande di piangere,\\ per la tristezza eterna dell'Amore,\\ pel non sapere e l'infinito bujo...\\ Per tutto questo amaro t'amo, Vita. 6. Sonno, dolce fratello della Morte,\\ che dalla Vita per un po' ci affranchi\\ ma ci rilasci tosto in sua balìa\\ come un gatto che gioca col gomitolo;\\ di te, finché la mia vita giustifichi\\ la vita della mia sorella e un segno\\ che son vissuto anch'io finché non lasci,\\ io mi contenterò e del tuo inganno. Vieni, consolatore degli afflitti.\\ Abolisci per me lo spazio e il tempo\\ e nel nulla dissolvi questo io.\\ Nessun bambino mai così fidente\\ s'abbandonò sul seno della madre\\ com'io nelle tue mani m'abbandono. Quando si dorme non si sa più nulla. 7. Padre, anche se tu non fossi il mio\\ padre, se anche fossi un uomo estraneo,\\ per te stesso egualmente t'amerei.\\ Ché mi ricordo d'un mattino d'inverno\\ che la prima viola sull'opposto\\ muro scopristi dalla tua finestra\\ e ce ne desti la novella allegro.\\ Poi la scala di legno tolta in spalla\\ di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.\\ Noi piccoli stavamo alla finestra. E di quell'altra volta mi ricordo\\ che la sorella mia piccola ancora\\ per la casa inseguivi minacciando\\ (la caparbia aveva fatto non so che).\\ Ma raggiuntala che strillava forte\\ dalla paura ti mancava il cuore:\\ ché avevi visto te inseguir la tua\\ piccola figlia, e tutta spaventata\\ tu vacillante l'attiravi a petto,\\ e con carezze dentro le tue braccia\\ l'avviluppavi come per difenderla\\ da quel cattivo ch'era il tu di prima. Padre, se anche tu non fossi il mio\\ padre, se anche fossi un uomo estraneo,\\ fra tutti quanti gli uomini già tanto\\ pel tuo cuore fanciullo t'amerei. 8. Ora che non mi dici niente, ora\\ che non mi fai godere né soffrire,\\ tu sei la consueta dei miei giorni.\\ Tu somigli ad un lago tutto uguale\\ sotto un cielo di latta tutto uguale.\\ Assonnato mi muovo sulla riva.\\ Non voglio non desidero, neppure\\ penso.\\ Mi tocco per vedere se sono.\\ E l'essere il non esser, come l'acqua\\ e il cielo si confondono.\\ Diventa il mio dolore quel d'un altro\\ e la vita non è lieta né triste. T'odio, compagna assidua dei miei giorni,\\ che alla vita non mi sottrai, facendomi\\ come il sonno una cosa inanimata,\\ ma me la lasci solo rasentare.\\ Poiché son rassegnato a viver, voglio\\ che ogni ora del dì mi pesi sopra,\\ mi tocchi nella mia carne vitale.\\ Voglio il Dolore che m'abbranchi forte\\ e collochi nel centro della Vita.\\ Ora che non mi dici niente, ora\\ che non mi fai godere né soffrire,\\ io rassegnato aspetto che tu passi. 9. Io ti vedo con gioja e con paura\\ ogni giorno scemare, mio Dolore.\\ Come l'amante che al risveglio spia\\ il volto dell'amante addormentata\\ e sente il freddo dell'irreparabile\\ ché i due corpi così vicini vede\\ farsi ogni giorno più tra loro estranei,\\ ogni mattino che mi sveglio scopro\\ il tuo volto più pallido, Dolore,\\ finché un mattino al posto tuo m'appaja\\ il volto scialbo della Consuetudine. Tu che illudesti un po' la mia\\ aridità e che ai miei chiari occhi\\ di pianto intorbidandoli, lasciasti\\ vedere meno bene, e mi facesti\\ tutta la vita vivere nell'attimo,\\ adesso che ho imparato a amarti solo\\ o Dolore tu anche passeggero,\\ irreparabilmente te ne vai.\\ E se mi fosse dato, non avrei\\ forse il coraggio di chiamarti indietro. Ma la mia vera vita con te viene\\ perché quando non soffro neppure vivo. 10. Talor, mentre cammino per la strada\\ della città tumultuosa solo,\\ mi dimentico il mio destino d'essere\\ uomo tra gli altri, e, come smemorato,\\ anzi tratto fuor di me stesso, guardo\\ la gente con aperti estranei occhi. M'occupa allora un puerile, un vago\\ senso di sofferenza e d'ansietà\\ come per mano che mi opprime il cuore.\\ Fronti calve di vecchi, inconsapevoli\\ occhi di bimbi, facce consuete\\ di nati a faticare e a riprodurre,\\ facce volpine stupide beate,\\ facce ambigue di preti, pitturate\\ facce di meretrici, entro il cervello\\ mi s'imprimono dolorosamente.\\ E conosco l'inganno pel qual vivono,\\ il dolore che mise quella piega\\ sul loro labbro, le speranze sempre\\ deluse,\\ e l'inutilità della lor vita\\ amara e il lor destino ultimo, il bujo.\\ Ché ciascuno di loro porta seco\\ la condanna d'esistere: ma vanno\\ dimentichi di ciò e di tutto, ognuno\\ occupato dall'attimo che passa,\\ distratto dal suo vizio prediletto. Provo un disagio simile a chi veda\\ inseguire farfalle lungo l'orlo\\ d'un precipizio, od une compagnia\\ di strani condannati sorridenti.\\ E se poco ciò dura, io veramente\\ in quell'attimo dentro m'impauro\\ a vedere che gli uomini son tanti. 11. Lacrime, sotto sguardi curiosi\\ non mi scoppiate a un tratto mentre parlo\\ di vane cose (mi sovviene a un tratto\\ del mio cammino sotto i cieli bui,\\ non avendo una mano che m'incuori:\\ e l'inutilità di ciò che dico\\ di ciò che faccio mi fa male il cuore).\\ M'irrita la carezza nei capelli.\\ Io troppe volte in giovinezza risi\\ per ricacciare dentro le mie lacrime,\\ ché la pietà degli uomini m'umilia.\\ E quell'altro mio io il quale sempre\\ m'accompagna, vorrebbe quando piango\\ alzar la faccia e ridere frenetico. Mentre guardo mio padre ginoccchioni\\ non mi colate giù rapide e calme.\\ Mi guarda il padre coi suoi poveri occhi\\ senza battere ciglio e scopre nuovo\\ l'irrequieto che tenea per mano\\ e che gli crebbe presso sconosciuto. Ma nell'angolo bujo d'una stanza\\ o nella solitudine d'un bosco\\ oh dolcezza di pianger tutto solo!\\ Al sostegno più prossimo m'appoggio\\ nell'improvvisa piena del mio petto\\ abbandonatamente come fossi\\ per morire e tra mezzo grosse lacrime\\ mi brilla il viso di riconoscenza. Allora sotto la bontà dei cieli\\ io sono nudo come quando nacqui.\\ Dietro il sottile velo delle lacrime\\ allora sono veramente io. 12. I miei occhi implacabili che sono\\ sempre limpidi pure quando piangono\\ Amicizia non vale ad ingannare.\\ Quando parliamo troppo forte o quando\\ d'improvviso taciamo tutti e due\\ vedono essi il male che ci rode.\\ Col rumor della voce noi vogliamo\\ creare fra di noi quel che non è:\\ quando taciamo non sappiam che dirci\\ ed apre degli abissi quel silenzio.\\ Allacciarci coi bracci non ci giova\\ se distinti restiamo ai nostri occhi. A ingannarli non vali neppur tu,\\ Dolore. Quando allenti la tua stretta\\ il mio padre e la mia sorella anch'essi\\ s'allontanano paurosamente. Certe volte vedendo una bestiola\\ che lecca una bestiola e gioca seco,\\ mi morde il cuore una crudele invidia. Cogli occhi vedo che mi sei negata\\ gioja di voler bene a qualcheduno. 13. A volte, quando penso alla mia vita\\ la qual ritorna sempre sui suoi passi\\ e come il dì e la notte si ripete\\ nei suoi disgusti e nei suoi desideri,\\ o quando la mia triste sazietà\\ incontra il desiderio che vocifera\\ al canto della strada, e mi si affaccia\\ l'immagine alla mente di una scala\\ che saliamo e scendiamo senza tregua\\ come ragazzi in qualche giuoco sciocco;\\ una chiaroveggenza nuova allarga\\ su la vita i miei occhi, tal che parmi\\ di vederla com'è la prima volta.\\ Vedo allora che nulla nella vita\\ è buono e nulla è triste, ma che tutto\\ è da accettare nello stesso modo:\\ e penso che convenga rassegnarsi\\ rassegnarsi ché tutto eguaglia la necessità.\\ Ma poiché in quel momento è così chiara\\ la mia vista, che di varcare il cerchio\\ nel quale la Necessità ci chiude\\ più non m'illudo, e poiché anche sento\\ che accettar così tutto non potrei,\\ la tenerezza per la mia sorella\\ e l'ingordo possesso della femmina,\\ su dal cuore mi sboccia un'improvviso((Con l'apostrofo nella mia edizione.))\\ sincero desiderio di morire. 14. Adesso che passata è la lussuria,\\ io son rimasto coi miei sensi vuoti,\\ neppur desideroso di morire((Riprende evidentemente la fine della poesia precedente.)).\\ Ignoro se ci sia nel mondo ancora\\ chi pensi a me e se il mio padre viva.\\ Evito di pensarci solamente.\\ Ché ogni pensiero di dolore adesso\\ mi sembrerebbe suscitato ad arte.\\ Sento d'esser passato oltre quel limite\\ nel qual si è tanto umani per soffrire,\\ e che quel bene non m'è più dovuto,\\ perché il soffrire della colpa è un bene. Mi lascio accarezzare dalla brezza,\\ illuminare dai fanali, spingere\\ dalla gente che passa incurioso\\ come nave senz'ancora né vela\\ che abbandona la sua carcassa all'onda.\\ Ed aspetto così, senza pensiero\\ e senza desiderio, che di nuovo\\ per la vicenda eterna delle cose\\ la volontà di vivere ritorni. 15. Svegliandomi il mattino, a volte io provo\\ sì acuta ripugnanza a ritornare\\ in vita, che di cuore farei patto\\ in quell'istante sesso di morire. Il risveglio m'è allora un altro nascere:\\ ché la mente lavata dall'oblìo\\ e ritornata vergine nel sonno\\ s'affaccia all'esistenza curiosa.\\ Ma tosto a lei l'esperienza emerge,\\ come terra scemando la marea.\\ E così chiara allora le si scopre\\ l'irragionevolezza della vita,\\ che si rifiuta a vivere, vorrebbe\\ ributtarsi nel limbo dal quale esce. Io sono in quel momento proprio come\\ chi si desti sull'orlo d'un burrone,\\ e con le mani disperatamente\\ d'arretrare si sforzi ma non possa. Come il burrone m'empie di terrore\\ la disperata luce del mattino. 16. Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo\\ come in sonno tra gli uomini mi muovo.\\ Di chi m'urta col braccio non m'accorgo,\\ e se ogni cosa guardo acutamente\\ quasi sempre non vedo ciò che guardo.\\ Stizza mi prende contro chi mi toglie\\ a me stesso. Ogni voce m'importuna.\\ Amo solo la voce delle cose.\\ M'irrita tutto ciò ch'è necessario\\ e consueto, tuttociò che è vita,\\ com'irrita il fuscello la lumaca\\ e com'essa in me stesso mi ritiro. Ché la vita che basta agli altri uomini\\ non basterebbe a me.\\ E veramente\\ se un alto mondo non avessi mio\\ nel quale dalla vita rifugiarmi,\\ se oltre le miserie e le tristezze\\ e le necessità e le consuetudini\\ a me stesso non rimanessi io stesso,\\ oh come non esistere vorrei!\\ Ma un'impressione strana m'accompagna\\ sempre in ogni mio passo e mi consola:\\ mi par di passare come per caso\\ da questo mondo... 17. Padre che muori tutti i giorni un poco,\\ e ti scema la mente e più non vedi\\ con allargati occhi che i tuoi figli,\\ e di te non t'accorgi e non rimpiangi,\\ se penso la fortezza colla quale\\ hai vissuto, il disprezzo c'hai portato\\ a tutto ciò che è piccolo e meschino,\\ sotto la rude scorza\\ l'istintiva poesia della tua anima,\\ il bene ch'hai voluto alla tua madre,\\ allo sorella ingrata, a nostra madre\\ morta,\\ tutta la vita tua sacrificata,\\ e poi ti guardo così come sei,\\ io mi torco in silenzio le mie mani.\\ Contro l'indifferenza della vita\\ vedo inutile anch'essa la virtù,\\ e provo forte come non ho mai\\ il senso della nostra solitudine. Io voglio confessarmi a tutti, padre,\\ che ridi se mi vedi e tremi quando\\ d'una qualche attenzion ti faccio segno,\\ di quanto fui vigliacco verso te.\\ Benché il rimorso mi si alleggerisca,\\ che più giusto sarebbe mi pesasse\\ inconfessato sempre sopra il cuore.\\ Io giovinetto imberbe, t'ho guardato\\ con ira, padre, per la tua vecchiezza.\\ Stizza contro te vecchio mi prendeva. Padre che mi hai tenuto sui ginocchi\\ nella stanza che si oscurava, in faccia\\ alla finestra e contavamo i lumi\\ di cui si punteggiava la collina,\\ facendo a gara a chi vedeva primo,\\ perdono non ti chiedo con le lacrime\\ che mi sarebbe troppo dolce piangere,\\ ma con quelle più amare te lo chiedo\\ che non vogliono uscirmi da miei occhi. Un pensiero soltanto mi consola\\ di poterti guardar con gli occhi asciutti.\\ Il ricordo che piccolo pensando\\ che come gli altri uomini dovevi\\ morire pure tu, il nostro padre,\\ solo e zitto ne mio letto la notte\\ io di sbigottimento lagrimavo.\\ Di quello che i miei occhi ora non piangono\\ quell'infantile pianto mi consola,\\ padre, perché mi par d'aver lasciata\\ tutta la fanciullezza in quelle lacrime. Se potessi promettere qualcosa\\ se potessi fidarmi di me stesso\\ se di me non avessi anzi paura,\\ padre, una cosa ti prometterei.\\ Di viver fortemente come te\\ sacrificato agli altri come te\\ e negandomi tutto come te\\ povero padre, per la fiera gioja\\ di finir tristemente come te. 18. Forse un giorno, sorella, noi potremo\\ ritirarci sui monti, in una casa\\ dove passare il resto della vita.\\ Sarà il padre con noi se anche morto.\\ Noi lo vedremo muoversi per casa.\\ E allora capirà tutto il dolore\\ che traversammo uniti per la mano,\\ tu la vita, sorella, senza amore,\\ io la vita, sorella, senza inganni.\\ Ed io lavorerò allora all'altro\\ scopo pel quale vivo, di lasciare\\ un segno al mondo che son stato anch'io((Ma perché? È un secondo grado di esibizionismo anche questo?)).\\ E quando l'illusione non mi basti\\ di vivere nell'arte molte vite((O è piuttosto un desiderio di immortalità?)),\\ il tuo dolore farà muto il mio.\\ Per sentirci ogni giorno più vicini\\ ricorderemo a volte ciò che fu:\\ e andremo a ripassar pei luoghi dove\\ passammo a man di nostro padre piccoli,\\ perché il nostro alimento è l'amarezza.\\ E se vuota ci paja l'esistenza\\ e se il rimpianto di tutt'altra vita\\ alla gola ci afferri qualchevolta,\\ alla consolatrice unica andremo.\\ Delle giornate intere noi staremo\\ con le due mani aperte sopra l'erba,\\ quasi lieti d'esistere per quello. 19. Il mio cuore si gonfia di te, Terra,\\ come la zolla a primavera.\\ Io torno.\\ I miei occhi son nuovi. Tutto quello\\ che vedo è come non veduto mai:\\ e le cose più vili e più consuete,\\ tutto m'intenerisce e mi dà gioja.\\ In te mi lavo come dentro un'acqua\\ dove si scordi tutto di sé stesso.\\ La mia miseria lascio dietro a me\\ come la biscia la sua vecchia pelle.\\ Io non sono più io, io sono un altro.\\ Io sono liberato di me stesso. Terra, tu sei per me piena di grazia.\\ Finché vicino a te mi sentirò\\ così bambino, fin che la mia pena\\ in te si scioglierà come la nuvola\\ nel sole,\\ io non maledirò d'esser nato.\\ Io mi sono seduto qui per terra\\ con le due mani aperte sopra l'erba,\\ guardandomi amorosamente intorno.\\ E, mentre così guardo, mi si bagna\\ di calde dolci lacrime la faccia. inverno 1912 **Parte seconda** 1. Taci, anima mia. Son questi i tristi\\ giorni in cui senza volontà si vive,\\ i giorni dell'attesa disperata.\\ Come l'albero ignudo a mezzo inverno\\ che s'attrista nella deserta corte\\ io non credo di mettere più foglie\\ e dubito d'averle messe mai. Andando per la strada così solo\\ tra la gente che m'urta e non mi vede\\ mi pare d'esser da me stesso assente.\\ E m'accalco ad udire dov'è ressa\\ sosto dalle vetrine abbarbagliato\\ e mi volto al frusciare d'ogni gonna.\\ Per la voce d'un cantastorie cieco\\ per l'improvviso lampo d'una nuca\\ mi sgocciolan dagli occhi sciocche lacrime\\ mi s'accendon negli occhi cupidigie.\\ Ché tutta la mia vita è nei miei occhi.\\ Ogni cosa che passa la commuove\\ come debole vento un'acqua morta. Io son come uno specchio rassegnato\\ che riflette ogni cosa per la via.\\ In me stesso non guardo perché nulla\\ vi ritroverei. E, venuta la sera, nel mio letto\\ mi stendo lungo come in una bara. 2. Piccolo, quando un canto d'ubriachi\\ giugevami all'orecchio nella notte\\ d'impeto su dai libri mi levavo.\\ Dimentico di lor((Dei libri.)) la chiusa stanza\\ all'aria della notte spalancavo\\ e mi sporgevo fuor dalla finestra\\ a bere il canto come un vino forte.\\ Con che occhi voltandomi guardavo\\ la chiusa stanza e dopo lei la casa\\ dove già tutti i lumi erano spenti!\\ Più d'una volta sulla fredda ardesia\\ al vento che passava nei capelli\\ alla pioggia che m'inzuppava il viso\\ io piansi delle lacrime insensate. Adesso quell'inganno anche è caduto((Continua il tono leopardiano.)).\\ Ora so quanto amara sia la bocca\\ che canta spalancata verso il cielo.\\ Pur se ancora mi desta dal mio sonno\\ quel canto d'ubriachi per la via\\ ad ascoltar mi levo con sospeso\\ dall'improvvisa commozione il fiato,\\ e vado ancora a mettere la faccia\\ nel vento che i capelli mi scompigli.\\ Rinnovare vorrei l'amara ebrezza\\ e quel sottile brivido pel corpo,\\ e il ben perduto cui non credo più\\ piangere come allora...\\ Ma non m'escono\\ che scarse sciocche lacrime dagli occhi. 3. Nel mio povero sangue qualchevolta\\ fermentano gli oscuri desideri.\\ Vado per la città solo la notte:\\ e l'odore dei fondaci al ricordo\\ vince l'odor dell'erba sotto il sole. Rasento le miriadi degli esseri\\ sigillati in sé stessi come tombe.\\ E batto a porte sconosciute. Salgo\\ scale consunte da generazioni.\\ La femmina che aspetta sulla porta\\ l'ubbriaco((Qui con due //b//.)) che rece((Vomita.)) contro il muro\\ guardo con occhi di fraternità.\\ E certe volte subito trasalgono,\\ nell'andito malcerto in capo a cui\\ occhi di sangue pajono i fanali,\\ le mie nari che fiutano il Delitto(([[charles_baudelaire|Baudelaire]].)). Mi cresce dentro l'ansia di morire\\ senza avere il godibile goduto\\ senza avere il soffribile sofferto.\\ La volontà mi prende di gettare\\ come un ingombro inutile il mio nome.\\ Con per compagna la Perdizione\\ a cuor leggero andarmene pel mondo. 4. Io che come un sonnambulo cammino\\ per le mie trite vite quotidiane,\\ vedendoti innanzi a me trasalgo.\\ Tu mi cammini innanzi lenta come\\ una regina.\\ Regolo il mio passo\\ io subito destato dal mio sonno\\ sul tuo ch'è come una sapiente musica. E possibilià d'amore e gloria\\ mi s'affacciano al cuore e me lo gonfiano.\\ Pei riccioletti folli d'una nuca,\\ per l'ala d'un cappello io posso ancora\\ alleggerirmi della mia tristezza((Effetto della bellezza.)).\\ Io sono acnora giovane inesperto\\ col cuore pronto a tutte le follie. Una luce si fa nel dormiveglia\\ della mia via.\\ Tutto è sospeso come in un'attesa.\\ Non penso più. Sono contento e muto.\\ Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo((Molto [[charles_baudelaire|Baudelaire]] anche in questo componimento.)). 5. A volte quando guardo la mia vita\\ e, tizzo che di cenere si copre,\\ ciò che feci ai miei occhi si scolora,\\ con un bivido freddo mi percorre\\ l'improvvisa paura di morire. Se domani morissi, se sapessi\\ di morire, la casa lascerei\\ ed uscirei a zonzo per le vie\\ per rimanere solo con me stesso\\ con sopra il capo il cielo vasto e vuoto\\ sotto i piedi la terra fredda e dura,\\ come solo sarei in faccia al nulla. Tra gli umidi guanciali non mi spenga\\ senza rumore qualche malattia,\\ come debole fiamma poco vento! Pellegrinando andare per quei luoghi\\ dove passai da piccolo con il padre:\\ dare\\ il primo bacio e l'ultimo agli amici:\\ toccare l'erba\\ come si tocca un capo di bambino\\ e saper che quell'è l'ultima volta:\\ prender congedo dalla dolce terra:\\ dolce così non mi sarà mai parsa...\\ Poi mettere alla vita il mio sigillo. 6. Io t'aspetto allo svolto d'ogni via,\\ Perdizione. Ti cerco dentro gli occhi\\ d'ogni donna che passa.\\ Sosto dai baracconi nelle fiere\\ a guardare la donna del serpente,\\ la fanciulla che vola... Oh voluttà di dar tutto per nulla!\\ Di tener nel conto di una paglia\\ questa vita ch'è tutto il nostro bene! Quella che tutti ebbero, che ride\\ facile e non capisce, quella che\\ con un crollar di spalle e un muover d'anca\\ dentro tutto il mio mondo mi dissolva,\\ quella più disprezzabile che ignora\\ la sua potenza\\ io prego che la strada m'attraversi. Io, come un mendicante che venuto\\ sulla sponda del fiume, sghignazzando\\ l'unico soldo che possieda getta,\\ per lei la vita getterei ridendo. 7. Quando attraverso la città la notte\\ io vivo la mia vita più profonda. Persiane silenziose illuminate!\\ Finestra buja aperta nella notte!\\ Negli atrii di pietra voce d'acqua!\\ Tra le bestie squartate lumicino\\ alla madonna! Ombre umane informi\\ dietro i vetri nebbiosi dei caffè! Mi trasformo nel cieco del crocicchio\\ che suona ritto gli occhi vaghi al cielo.\\ Voluttà d'esser solo ad ascoltarmi!\\ Udire nella mia notte per ore\\ avvicinarsi e dileguare i passi!\\ Essere la puttana che sussurra\\ la parola al passante che va oltre!\\ la vecchia della porta\\ che s'attacca pel soldo della grappa\\ al militare ch'esce nauseato! E voluttà di scendere più basso!\\ Rasentando le case cautamente\\ io sento dietro le pareti sorde\\ le generazioni respirare.\\ E so l'ostilità di certe vie\\ tozze,\\ la paura di certe piazze vuote... E forse inconscio m'incammino verso\\ (o mia liberazione) la Follia. 8. A volte sulla sponda della via\\ preso da un infinito scoramento\\ mi seggo: e dove vado mi domando,\\ perché cammino. E penso la mia morte\\ e vedo me già steso nella bara\\ troppo stretta fantoccio inanimato... Quant'albe nasceranno ancora al mondo\\ dopo di noi!\\ Di ciò che abbiam sofferto\\ di tuttociò che in vita ebbiamo a cuore\\ non rimarrà il più piccolo ricordo. Le generazioni passan come\\ onde di fiume... Una mortale pesantezza il cuore\\ m'opprime.\\ Inerte vorrei esser fatto\\ come qualche antichissima rovina,\\ e guardare succedersi le ore,\\ e gli uomini mutare i passi, i cieli\\ all'alba colorirsi, scolorirsi\\ a sera... 9. Magra dagli occhi lustri, dai pomelli\\ accesi,\\ la mia anima torbida che cerca\\ chi le somigli\\ trova te che sull'uscio aspetti gli uomini. Tu sei la mia sorella diquest'ora. Accompagnarti in qualche trattoria\\ di bassoporto\\ e guardarti mangiare avidamente!\\ E coricarmi senza desiderio\\ nel tuo letto!\\ Cadavere vicino ad un cadavere\\ bere della tua vita l'amarezza\\ come la spugna secca beve l'acqua! Toccare le tue mani i tuoi capelli\\ che pure a te qualcuno avrà raccolto\\ in un piccolo ciuffo sulla testa!\\ E sentirmi guardato dai tuoi occhi\\ ostili, poveretta, e tormentarti\\ domandandoti il nome di tua madre... Nessuna gioja vale questo amaro.\\ Poterti fare piangere, potere\\ pianger con te! 10. Talora nell'arsura della via\\ un canto di cicale mi sorprende.\\ E subito ecco m'empie la visione\\ di campagne prostrate nella luce...\\ E stupisco che ancora al mondo sian\\ gli alberi e l'acque\\ tutte le cose buone della terra\\ che bastavano un giorno a smemorarmi... Con questo stupor sciocco l'ubbriaco\\ riceve in viso l'aria della notte. Ma poi che sento l'anima aderire\\ ad ogni pietra della città sorda\\ com'albero con tutte le radici,\\ sorrido a me idicibilmente e come\\ per uno sforzo d'ali i gomiti alzo... maggio 1913